Fare di un romanzo teatro costringe alla scelta di un ineludibile tradimento: privilegiare lo stile letterario e quindi tradire il teatro o reinventare una struttura drammaturgica a scapito della letteratura? E’ mai possibile trasferire sulla scena le introspezioni e le dinamiche dei pensieri scritti senza ridurre ferire umiliare l’ispirazione dell’autore? Cosa resta del testo costretto a drastiche potature? Dove svapora la sua linfa creatrice? In una trama affrettata? In un senso svuotato di aggettivi? Meccanismo pretestuale senza segreti esistenziali che solo la pagina scritta chiarisce e motiva. Ma se il romanziere già cova il germe teatrale della sua futura e geniale drammaturgia, sta alla sapiente intuizione del riduttore individuare in questo romanzo che è dramma commedia tragedia e farsa, ricco di colpi di scena, di dialoghi dinamici ed esaustivi, il segno potente della sua potenziale teatralità. Una teatralità che Tato Russo piega alla comprensione più profonda del senso di questo testo complesso dove il protagonista muore e rinasce, autore del proprio personaggio cercato e costruito nell’ansia della propria libertà. Ma la vertigine del reinventarsi, dopo un’effimera ebbrezza non fa che aggiungere alle frustrazioni precedenti da cui non si esce, le frustrazioni del nuovo stato in cui non si è liberi di identificarsi e il cui naturale percorso riconduce al primitivo ristagno. E tutto ciò filtrato dalla memoria. Solo una regia audace intuitiva e senza inibente soggezione può tradurre visivamente il labirinto mentale in cui si inabissa l’autore, imponendo nitore stilistico, coerenza e significato: in ciò sta il rispetto. L’ammasso delle reminescenze si dipana nella luce esangue dei ricordi rivissuti, che filtra e adombra le più accese emozioni: è un mondo di vivi e di morti che convivono evocati, e delle evocazioni hanno le voci afone ed i gesti rarefatti: mentali e deformati dalla rivisitazione; un mondo di anime deluse e perdenti, intrise delle infelicità e delle contraddizioni che corrodono tutti i destini: quelli reali e quelli inutilmente reinventati.
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